Mi chiedo a chi parlo quando scrivo. Ma in primo luogo, mi chiedo a chi arrivi per davvero ciò che vivo. Spesso ho l'impressione di sentirmi un po' incompreso, eppure avverto l'esigenza di trasmettervene il peso. Vedo gente vuota, latente irresponsabile, che mente anche a sè stesssa pur di non pensarsi fragile. E perderei la voce pur di avere un crocevia. Ma ciò che noto è solo una carenza di empatia. Dan peso alle esperienze più che a ogni legame puro. Io che assumo che l'esatto opposto faccia di te un duro. Eterno illuso, se cerco meta in questo mondo chiuso. Sarò crudo, nel modo in cui diserterò il mio scudo. È un mondo di individui più individualisti che altro, ma che pendono dalle labbra di chi per loro sta in alto. Parlano d'amore e la sua essenza in ciò che sia. Ma ciò che noto è solo una carenza di empatia. Mente fuori città non può rinascere sana La testa l'hanno lasciata ai media in pubblicità, rimandata Retata del pensiero all'unità deragliata eppure carta canta su una strada, sterrata Faccio rime di paglia per una pira di stronzate Che qua a musicalità pijo legnate eppure sono pio a queste sonate a stornello di getto che se non parlo io chi parla meglio e che bello il silenzio stampa c'è chi campa ridendo tanto meno sai più tanto è meglio c'è chi ha dato il cervello a un complesso intricato e je pare pure bello, ma è disumanizzato il tempo è disorganizzato e troppo spesso poco empatico lo spendi in un conato più che ad esse meno apatico le rette c hanno valico se stanno parallele saremo pure uguali ma il distacco, si vede